Il pianto della felicità. Sapete per quale motivo questo gesto non è associato solo al dolore, ma anche alla gioia? C’è una ragione!
Vi sarete chiesti come mai si piange sia per la gioia che per il dolore. Certo è sicuramente meglio il primo caso. Ma come mai di fronte a una forte emozione, a una grande felicità, il nostro corpo si comporta esattamente nello stesso modo in cui affronta un grande dolore? La ragione è molto particolare.
Un matrimonio, la nascita di un figlio, il conseguimento di un obiettivo, la felicità per qualcuno che amiamo. Di fronte a questi eventi di gioia piangiamo di felicità. Il nostro cervello, e di conseguenza il corpo, si comporta esattamente allo stesso modo in cui affronta un dolore. Ma perché? C’è una risposto scientifica, una ragione importante che ci può far capire molto bene cosa accade.
Piangere per la felicità: perché ci comportiamo in questo modo?
Nella vita non si piange solo per il dolore, ma anche per la felicità. E’ curioso sapere come questo possa avvenire e soprattutto come mai le lacrime servono per esternare tantissime delle nostre emozioni. Quelle negative che riguardano la sofferenza e l’angoscia, ma anche quelle positive che riguardano la gioia, la felicità e l’entusiasmo per qualcosa di bello e positivo che può accadere nella vita. Vediamo quali sono le motivazioni per poter vivere appieno le nostre emozioni e manifestarle.
Come ha spiegato la psicologa Elena Sanz, per Lamentemeravigliosa.it, il pianto può derivare da emozioni positive e negative perché c’è una motivazione ben precisa. Questo argomento l’ha approfondito Oriana Aragón, psicologa presso l’Università di Yale, negli Stati Uniti, che ha voluto studiare le espressioni dimorfe che indicano proprio le manifestazioni emotive opposte al sentimento che si prova, come il pianto di felicità. Si tratta quindi di emozioni positive che per emergono mediante espressioni negative.
Secondo gli studi chi piange di felicità lo fa per ristabilire l’equilibrio in sé di fronte a un’emozione travolgente. Vuol dire che le persone che lo fanno in pratica riescono a moderare l’intensità del loro stato d’animo soltanto scegliendo espressioni negatrice. Fondamentale è quindi l’omeostasi interna, ma anche la capacità di comunicare. Se rispondiamo ridendo ad esempio tendiamo a celebrare e prolungare l’emozione positiva altrui, se invece reagiamo piangendo tendiamo a moderare l’intensità emotiva della persona. Questo vuol dire che ne percepiamo il disagio emotivo e reagiamo di conseguenza. Dunque il pianto non avviene per caso.